Un film natalizio, lche ci ripropone gli ideali per cui combattere
18/12/2023 Posted bya cura di Terry Bruno pubblicato su Karmanews
Un bravissimo Timothée Chalamet interpreta un orfano che insegue il suo sogno.
Regia:Paul King Genere:Commedia, Avventura Anno:2023 Attori: Timothée Chalamet, Olivia Colman, Hugh Grant, Sally Hawkins Paese: USA Durata: 116 min Data di uscita: 14 dicembre 2023 Distribuzione: Warner Bros. Pictures
“Tutte le cose belle a questo mondo sono cominciate con un sogno“
In questo periodo in TV, sulle varie piattaforme e al cinema i film di Natale dominano.
Perché vengono proiettati tanti film natalizi?
Secondo numerosi studi scientifici il guardare tali proiezioni fa sentire bene e pervasi di gioia e dolcezza. Questo accade perché essi rilassano, non stressano, ma soprattutto sono prevedibili. Come conseguenza si hanno sensazioni positive, confortanti e sentimentali e l’umore migliora. Proprio perché sono facili da seguire e il lieto fine è assicurato, si ha una riduzione degli ormoni dello stress (catecolamine e cortisolo), oltre a far credere che qualunque cosa si stia vivendo, tutto andrà bene.
Essi fanno emergere l bambino che è in noi con la sua spontaneità, semplicità, gioia di vivere. I film natalizi sono progettati per attivare il fattore nostalgia, cioè il rimpiangere i tempi passati considerandoli migliori di ora. Se poi vengono guardati in compagnia di persone care, ci si sente meglio, più tranquilli e al sicuro, e l’effetto è maggiore soprattutto se vengono guardati a Natale.
Abbiamo bisogno di emozioni positive
Vi chiederete il perché ciò accade. La risposta sta nei messaggi che trasmettono in genere amore, valori familiari, amicizia e, perché no, anche un po’ di ilarità che solleva l’anima. La prevedibilità e il lieto fine dei film natalizi ci fa rivivere quelle stesse sensazioni che provavamo da piccoli prima di addormentarci, quando ascoltavamo la stessa storia o la stessa ninnananna. La reiterazione di qualcosa che si conosceva e il lieto fine rassicuravano e si cadeva tra le braccia di Morfeo.
Attualmente si sente il bisogno di lasciarsi andare alle emozioni positive, alla ricerca di sicurezze in un momento di grande incertezza, per cui ancora di più tali proiezioni acquistano un sapore migliore.
Un musical per grandi e piccini Wonka è un film destinato a diventare un cult delle feste natalizie, da guardare condividendo emozioni e, perché no, sorseggiando qualcosa di caldo. È un film che riscalda l’anima, con la sua storia, le sue scene, la sua musica.
Sì, parlo di musica, perché il Willy Wonka del regista Paul King è un musical applicato a una struttura narrativa diretta a piccoli e grandi, in cui la fantasia più entusiasmante e i buoni sentimenti creano un’armonia che avvolge lo spettatore. Una sorta di complicità virtuale con i protagonisti che porta a riflettere, comparando le proprie esperienze, più meno consciamente, con quelle virtuali, vivendo un benessere psicologico maggiore.
Una metafora della vita
Wonka non è semplicemente una favola, ma una efficace metafora su tanti aspetti della vita che rendono l’essere umano arido ed egoista. È un messaggio sui pericoli dell’avidità e dell’esagerazione, di come i vizi e le dipendenze facciano perdere la lucidità e l’umanità. Dove i valori, anche quelli più profondi, possono essere dimenticati per qualcosa di più fugace come il piacere del momento.
E poi c’è l’inganno, spesso nascosto dietro le apparenze, e da cui si viene spesso travolti e avviluppati in una rete talmente fitta e appiccicosa da cui risulta difficile scappare. Perché questo accade? Perché tendiamo a dare valore a ciò che ci colpisce e che fa parte della nostra cultura, della nostra educazione, tendendo a giudicare senza conoscere. A volte non possiamo renderci conto di chi abbiamo di fronte finchè non lo conosciamo.
A dire il vero, molto spesso non sono le apparenze a ingannarci, ma le aspettative che noi abbiamo e in cui riponiamo speranze e desideri. Aspettative che troppe volte vanno oltre la realtà e diventano positive finché sono realiste, agendo come motore per la motivazione.
Un messagggio per recuperare i valori positivi L’allegoria manda anche importanti messaggi, che riguardano il valore della famiglia, del rispetto dell’altro, della generosità, aspetti che se coltivati portano al benessere e al successo di chi li attua.
Come ogni favola che si rispetti abbiamo, i buoni e i cattivi, personaggi che hanno accompagnato ognuno di noi dalla prima infanzia, e nel film sono rappresentati con determinate caratteristiche: i buoni, poveri con una faccia pulita e leale, e i cattivi, con denti storti, in sovrappeso e indescrivibili acconciature.
Willy Wonka, interpretato dal bravissimo Timothée Chalamet, che balla e canta con assoluta bravura, è un ragazzo povero, ma ricco d’idee. È un entusiasta della vita, nonostante sia rimasto orfano ben presto, con la passione per il cioccolato trasmessa da sua madre (Sally Hawkins).
Il rapporto con la madre è stato determinante per quello che sarà poi Willy da grande. Nonostante la loro povertà gli ha sempre dato fiducia nelle sue capacità, trasmesso valori, buoni sentimenti e anche ricette per il cioccolato che spesso gli preparava per coronare quei momenti passati insieme, particolarmente prima di addormentarsi, mentre ascoltava i suoi sogni per il suo futuro.
Bisogna credere nei sogni Bellissima è la frase detta da sua madre e che ha lasciato un segno nella vita di Willy: “Tutte le cose belle a questo mondo sono cominciate con un sogno”. Ed è proprio vero! Bisogna credere nei propri sogni e per poterli realizzare occorre riempire di particolari i propri sogni, bisogna perseverare anche contro gli ostacoli che si presentano. E così i sogni diventano realtà. Infatti Wonka ben presto si rende conto che dovrà affrontare numerose sfide, determinate principalmente dal “Cartello del Cioccolato”, il male, che non permette a nessun altro di creare e vendere cioccolato nei negozi della città.
Un prequel di La fabbrica di cioccolato Il film è un prequel di La fabbrica di cioccolato, in cui il protagonista ricorda un po’ l’eccentricità dei Wonka precedenti di Gene Wilder e Johnny Depp, ma con una ingenuità e ambizione tipica della giovane età.
È un film da vedere, che affascina grandi e piccoli, con temi seri, ma affrontati con leggerezza e ironia, con il suo alone di magia che fa bene al cuore e all’anima, per ricordarci che il Natale è un momento magico che risveglia quel bambino che è dentro di noi.
Un’analisi del perchè questo grande sentimento può generare persino panico
21/10/2023Posted bya cura di Terry Bruno pubblicato su Karmanews
di Terry Bruno. Se per molti l’amore è meraviglioso, per altri è fonte di paure, incertezze, instabilità emotiva.
L’amore è un sentimento a cui è sempre stata legata l’idea di qualcosa di meraviglioso, di piacevole. Esso, secondo il filosofo Stenberg, è il risultato dell’intimità, della passione e della decisione-impegno. Questo insieme di familiarità e affinità, si traduce in un desiderio e in un coinvolgimento fisico e sessuale. È un completarsi con colui o colei che occupa la nostra mente in modo insistente. Voi vi chiederete perché impegno. Ebbene esso implica non solo la decisione di lasciarsi andare a tale sentimento, ma anche l’assumersi la responsabilità di mantenere il legame nel tempo.
L’amore e i neurotrasmettitori
L’amore è anche una tempesta ormonale che investe chi s’innamora. Pensate alle differenze che ci sono a seconda se corteggiamo, c’innamoriamo e poi amiamo. Quando corteggiamo proviamo una grande euforia e piacere a causa del rilascio di dopamina. Quando incominciamo a provare qualcosa di diverso, le famose “farfalle nello stomaco”, la quantità del nostro neurotrasmettitore dopaminergico aumenta insieme alla noradrenalina e alla feniletilamina, per cui non abbiamo più fame e dormiamo male.
Ecco spiegato il perché l’amore, in molte persone, è sconvolgente: non dormono, dimagriscono, vivono in uno stato alterato di coscienza. Quando il legame si concretizza, ecco che l’ossitocina fa in modo che la cura e l’attenzione verso l’altro si rafforzino.
Questi cambiamenti fisiologici ed emotivi possono determinare, però, anche la paura di amare, detta filofobia. Tutti quanti noi abbiamo bisogno di amore, ognuno in modo diverso, ma a volte vivere una relazione seria, che comporta il lasciarsi andare alle emozioni, può spaventare. Alcuni chiamano tale condizione anoressia sentimentale, il centellinare amore per paura di soffrire: si controllano i sentimenti e si esaspera il bisogno di avere i propri spazi, la propria indipendenza. Quando poi il partner chiede una relazione più stabile, l’ansia di non farcela aumenta in modo talmente spropositato tanto da avere dei veri e propri attacchi di panico. Il colmo è il vivere, accanto al proprio partner, una sensazione d’insicurezza e fragilità.
Filofobia o anoressia sentimentale
La filofobia può essere la conseguenza di delusioni e sofferenze passate, per cui il pensiero di poter rivivere lo stesso malessere, di essere nuovamente traditi, umiliati, feriti, abbandonati, limita il coinvolgimento emotivo. Altra possibile causa è la paura di perdere la propria autonomia, la propria libertà, per cui la relazione amorosa la si vede quasi come il vivere in una gabbia, in cui il trovare un punto d’incontro con le aspettative dell’altro è visto come un obbligo e non un arricchimento.
Riuscire a capire chi si ha di fronte senza preconcetti ci permette di trovare le strategie per poter raggiungere i propri obiettivi. L’errore che spesso si fa è quello di pensare che l’altro ragioni allo stesso modo. Le aspettative disattese incrementano così il disagio, peggiorando la situazione. Il rapporto allora alterna momenti di affettuosità a momenti di freddezza e anche la sessualità ne subisce le conseguenze, perché il piacere sessuale è legato proprio a ciò che il filofobico controlla, il lasciarsi andare.
Siamo noi gli artefici della nostra vita
È normale aver paura di amare, perché ci si mette in gioco, mostrando le parti più intime di se stessi, quegli aspetti che spesso si rifuggono e che neanche noi stessi vogliamo vedere. Si ha paura di amare per non rimanere delusi, per non soffrire, perché si teme di non riuscire a raggiungere ciò che si desidera, ma soprattutto perché sono gli altri la causa del nostro malessere o della nostra felicità.
Ma siamo noi gli artefici della nostra vita e se non riusciamo a dare amore avremo anche difficoltà a riceverlo. E cosa si potrà raccontare della propria vita? Impedirsi di lasciarsi andare non permette di godere nulla nel qui e ora e nel futuro, perché non si fa altro che amplificare le proprie paure a tal punto da metterci noi stessi in una gabbia come scudo nei confronti di qualcosa che abbiamo difficoltà di affrontare.
Un bellissimo film di Alessandro Bardani sul tema dell’abbandono e dell’adozione
21/10/2023Posted bya cura di Terry Brunopubblicato su Karmanews
di Terry Bruno. Un film che ci fa riflettere sui ruoli e sui legami, di sangue o meno, nella nostra società.
Regia: Alessandro Bardani Cast: Sergio Castellitto (Augusto), Valerio Lundini (Giovanni), Carla Signoris (Gianna) Nazionalità: italiana Distribuzione: Lucky Red Produzione: Goon Films, Lucky Red con Rai Cinema Durata: 90′ Nel film è presente il brano inedito La vita com’è di Brunori SAS
Il più bel secolo della mia vita, uscito da un paio di mesi, è un film ironico, introspettivo, con punte a volte commoventi e a volte divertenti, che porta lo spettatore a vedere gli estremi opposti della vita. È un viaggio tra un mondo reale e uno che potremmo definire surreale, esilarante ed esistenziale che fa riflettere.
Il film accende i riflettori su una legge del 1983, ingiusta e anacronistica, in vigore ancora oggi in Italia, secondo cui un figlio non riconosciuto alla nascita, può conoscere l’identità dei suoi genitori biologici solo al compimento del centesimo anno di età. Ed è proprio questo che lega i due protagonisti del film: Gustavo – centenario – abbandonato in un orfanotrofio (Sergio Castellitto) e il giovane trentenne Giovanni (Valerio Lundini) che, dopo la morte di suo padre avvenuta da poco, ha saputo di essere stato adottato.
Tale scoperta, avvenuta in tarda età, ha creato in lui una reazione di rifiuto della madre (Carla Signoris) e il desiderio, quasi ossessivo, di voler conoscere i propri genitori biologici. Per questo motivo diventa uno dei soci attivi dell’associazione Faegn (Associazione nazionale figli adottivi e genitori naturali) che lotta per cambiare tale legge così disastrosa. Inizia così l’incontro tra i due protagonisti, uno ormai anziano, ma proiettato verso il futuro, e l’altro giovane intrappolato nel suo passato, un passato che vuole conoscere rifiutando il presente: una madre accogliente che ha avuto la colpa di non aver detto la verità.
È necessario dire la veritò ai bambini?
Spesso ci si chiede perché bisogna dire a un bambino adottato la verità. Parlarne subito permette al bambino di poter elaborare l’abbandono, che non è altro che un lutto, una separazione che lascia un vuoto che va colmato.
È un lungo processo e non un singolo episodio, perché si deve essere sempre pronti a dover ritornare su temi magari già considerati perché potrebbero nascere nuove domande o sentire il bisogno di riparlarne ancora. Quando il tutto viene comunicato in tarda età o lo si scopre per caso o per necessità, ci si sente traditi, confusi, non si sa più chi si è.
Infatti Giovanni cerca in Gustavo un complice, un supporto per la condizione che sta vivendo, dicendogli: «Lei è stato abbandonato come me e se una persona non sa da dove viene, è una persona incompleta». Ciò in cui si era creduto cade come un castello di carta sconquassato da un impetuoso e improvviso vento. Si mette in discussione tutto, compreso quell’affetto che si è ricevuto per tantissimo tempo.
Alla rabbia di aver vissuto nella menzogna, si aggiunge la paura, l’angoscia del futuro, di cosa fare. Ed è proprio a questo punto che voglio citare una frase che Gustavo dice a Giovanni: «I figli non so’ di chi li fa, i figli so’ di chi li ama», quell’amore che lui non è riuscito ad avere in tutti quegli anni trascorsi nell’orfanotrofio, aspettando invano che la madre lo portasse via da lì, sottraendolo alle angherie delle suore.
Il regista Alessandro Bardani non scade mai nella retorica e porta a riflettere sui ruoli e sui legami, di sangue o meno, nella nostra società e gioca sul contrasto tra i due fratelli di culla (come vengono definiti gli orfani), tra la seriosità del giovane e la leggerezza del vecchio, dosando il tutto molto bene, senza mai eccedere.
Bellissime sono le suggestive immagini di repertorio in bianco e nero che ricordano allo spettatore quanto il mondo possa cambiare in cento anni, accompagnate dalla canzone di Brunori Sas, scritta appositamente per il film.
Il più bel secolo della mia vita è un film che fa riflettere con un delicato humor, affrontando temi importanti come il rapporto genitori/figli, il diritto e il bisogno di conoscere le proprie origini, o anche di non voler sapere, ma soprattutto il saper accettare e perdonare non solo chi ha abbandonato, ma anche chi ha voluto creare una famiglia cercando di dare amore, magari sbagliando, a chi ha il diritto di essere amato.
Intervista alla Dott.ssa Terry Bruno su Cusanonews
Volo AZ 392 Roma Stoccolma è un romanzo psicologico che permette al letytore di fare un viaggio dentro di sè. Nel libro vengono presentate situazioni felice e dolorose, a volte comiche e surreali, in una rom a tra gli anni 60 e la fine degli anni 90.
intervista a Terry Bruno e Marta Meschini su 4 Chiaqcchiere con…
Perchè è presente nel libro tale figura? Per due motivi. Il primo è di poter raccontare una storia attraverso dei flashback, avvincenti. Il secondo motivo è quello di poter mandare un messaggio, cioè con l’aiuto di un professionista, di cui spesso si ha paura, è possibile ritrovare se stessi, a superare problemi che si pensa irrisolvibili.
Volo Az 392 Roma Stoccolma, è un romanzo psicologico che porta il lettore a riflettere su alcuni aspetti della propria vita. Potremmo definirlo un libro sulla rinascita, in quanto anche da situaxzioni da cui si pensava non riuscire a venirne fuori, c’è sempre la possibilità di riprendere in mano le redini della propria vita.
Intervista alla Dott.ssa Terry Bruno su Cusanonews
il disagio giovanile si manifesta sempre più con atti di violenza. Spesso si colpevolizzano i genitori per tali comportamenti. E’ una generalizzazione che non sempre rispecchia la realtà. Senz’altro occorre tener presente che i figli prendono da modello, inconsciamente, i propri genitori. Quindi bisogna fare attenzione a cosa si fa in famiglia, ricordando che “violenza richiama violenza”.
Intervista alla Dott.ssa Terry Bruno su Cusanonews
Quando parliamo di dipendenze, dobbiamo pensare che ci riferiamo all’incapacità di ridurre un comportamento disfunzionale. Ad esempio la dipendenza da cibo è una lotta continua che il soggetto ha con se stesso e il suo fisico. il cibo funge da gratificante per cui si ha difficoltà a poter rinunciare a tale gratificazione, anche perchè molto spesso è l’unico elemento positivo nella propria vita.
Intervista alla Dott.ssa Terry Bruno su Cusanonews
Lo stalking è un fenomeno sempre più frequente. l’obiettivo dello stalker è quello di creare un disagio nella vittima sia dal punto di vista psicologico che fisico.
L’intervista dà la possibilità di chiarire alcuni dubbi e di avere una visione più chiara di tale fenomeno
Genera anche autocontrollo, sicurezza, empatia, stima degli altri e di sè
23/07/2023 Posted by a cura diTerry Bruno pubblicato su Karmanews
di Terry Bruno. Ritrovare l’autostima e la self-compassion per vivere in armonia con noi stessi e con gli altri.
La gentilezza è una parola che attualmente è un po’ forse desueta. Siamo abituati a sentire parlare di prevaricazione, aggressività, egoismo, ma di gentilezza, rispetto, perdono, molto poco. Questo perché molto spesso a queste ultime parole si dà un’accezione di debolezza, di sottomissione. In realtà richiedono una strutturazione ben più complessa.
Ad esempio la gentilezza è un atteggiamento estremamente elaborato. Implica autocontrollo, sicurezza, empatia, stima degli altri e consapevolezza di come rapportarsi con gli altri. Si ottiene molto di più con gentilezza che con indolenza o rudezza.
Vivendo in un mondo cibernetico, un comportamento genera una risposta a esso conseguenziale, per cui l’essere gentile genera gentilezza e una maggiore disponibilità, e le probabilità che possano insorgere conflitti o inasprimenti sono inferiori.
La nostra vita è quasi sempre accompagnata da stress e, di conseguenza, ansia, rabbia, somatizzazioni e stati depressivi complicano il nostro vivere quotidiano. Infatti diventiamo sempre più irritabili, irascibili, poco propensi al dialogo e alla comprensione. Sembra che tutti siano contro di noi, compresi noi stessi.
Cosa ci succede? Cosa ci porta a questo tipo di reazioni?
Il nostro dialogo interno, sempre più critico, ci fa sentire inadeguati non solo nei confronti degli altri, ma anche verso noi stessi. Quante volte ci critichiamo di fronte agli altri, forse per batterli sul tempo prima che possano farlo loro?
“Sono proprio un imbranato” o “Sono negato nel fare i calcoli” o “Sono proprio una frana” o “Sono proprio una balena”. Queste e altre frasi fuoriescono dalla propria bocca, come proiettili vaganti alla ricerca di un unico bersaglio, se stessi.
È un atteggiamento difensivo – che ovviamente rivela mancanza di autostima – che deriva dal bisogno di non essere abbandonati, rifiutati, ed è collegato ai basilari istinti di sopravvivenza.
Ma come si diventa così critici con se stessi? Lo si acquisisce durante l’infanzia, nella relazione con i genitori. I bambini quando sono piccoli riversano la loro fiducia inconsciamente sui loro genitori, soprattutto per capire e interpretare il mondo intorno a loro e se stessi. Quindi il comportamento genitoriale svolge un ruolo importante nello sviluppo dei propri figli.
Purtroppo spesso i genitori usano il criticismo per tenere i figli al sicuro o per motivarli. Sentiamo frasi del tipo: “Non fare lo stupido, scendi di lì” o “Non farai mai niente nella vita se non studi e ti impegni”. Il risultato? Molti figli pensano che la critica sia l’unico modo per motivarsi. È stato dimostrato che coloro che hanno avuto genitori ipercritici durante l’infanzia, da adulti saranno, con molta probabilità, critici con se stessi. Ma non sono solo i genitori gli unici influencer, ma qualsiasi altra figura significativa (nonno, insegnante, coach, etc.) tanto da indurre all’inflessibilità verso se stessi e gli altri.
Insicurezza, ma anche depressione e psicosi Numerose ricerche hanno dimostrato che gli stati mentali come il senso di colpa, la vergogna e l’autocritica, possono creare molti disturbi psicologici, che possono andare dalla depressione alle psicosi. Si è osservato che stati mentali positivi, come il senso di felicità, l’ottimismo e la soddisfazione, determinano un migliore benessere fisico e, di conseguenza, gli stati mentali negativi si alleggeriscono.
Risulta allora importante cambiare il modo in cui affrontiamo noi stessi, le nostre imperfezioni, le nostre inadeguatezze che aumentano ancora di più nel momento in cui il nostro criticismo diventa quasi assillante. È un rinchiudersi in una gabbia, in cui apparentemente ci sentiamo al sicuro, ma in realtà è una morsa sempre più stretta che c’impedisce di avanzare. Tali pensieri ci fanno sentire anormali, imperfetti, come se gli altri sono migliori di noi e così ci si isola.
Essere più gentili con se stessi
E allora? Bisogna essere più gentili con se stessi, giudicarsi di meno, potenziare la propria capacità di accettazione. Parliamo di Self-compassion, compassione e comprensione verso ogni pensiero di auto scherno.
In pratica imparare ad autoaccettarsi, ad accogliere tutte le parti di noi stessi (sia positive che meno positive) per come sono. È importante imparare ad accettare anche quelle parti di noi che rifiutiamo perché altrimenti entriamo in un circolo vizioso da cui poi abbiamo difficoltà a uscire, diventando sempre più misantropi e soli.
Se facciamo fatica ad accettarci e ci critichiamo continuamente, probabilmente tale tendenza la estenderemo anche verso gli altri. Allo stesso tempo, forse avremo anche il timore di essere giudicati dagli altri e, magari, cercheremo la loro approvazione. È come se il giudicare gli altri ci tornasse indietro come un boomerang, attraverso gli altri.
Il fenomeno della proiezione
In psicologia tale fenomeno viene chiamato proiezione, cioè si riscontra negli altri quello che fatichiamo a riconoscere in noi stessi. Uscendo da questa dinamica ci si può rendere conto che anche gli altri vivono le stesse nostre problematiche, magari in modo diverso, e questo evita di personalizzare le proprie paure e il proliferare di pensieri negativi e inutili.
Risulta quindi chiaro quanto sia importante trattarsi con gentilezza e prendersi cura di se stessi se si vuole vivere in uno stato di benessere non solo fisico, ma anche psichico. Compassione e autocompassione ci aiutano a sentirci parte di un tutto, connessi alle altre persone e non miseramente soli. La cultura occidentale attribuisce grande importanza all’individualità, all’unicità di ogni persona. È giunto forse il momento di iniziare a recuperare tutto quello che ci permette di essere connessi, vicini e capire come il nostro dolore abbia un corrispettivo nel dolore dell’altro.