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Il potere di essere gentili

Genera anche autocontrollo, sicurezza, empatia, stima degli altri e di sè

23/07/2023 Posted by a cura di Terry Bruno pubblicato su Karmanews

di Terry Bruno. Ritrovare l’autostima e la self-compassion per vivere in armonia con noi stessi e con gli altri.

La psicoterapeuta Terry Bruno.

La gentilezza è una parola che attualmente è un po’ forse desueta. Siamo abituati a sentire parlare di prevaricazione, aggressività, egoismo, ma di gentilezza, rispetto, perdono, molto poco.
Questo perché molto spesso a queste ultime parole si dà un’accezione di debolezza, di sottomissione. In realtà richiedono una strutturazione ben più complessa.

Ad esempio la gentilezza è un atteggiamento estremamente elaborato. Implica autocontrollo, sicurezza, empatia, stima degli altri e consapevolezza di come rapportarsi con gli altri. Si ottiene molto di più con gentilezza che con indolenza o rudezza.

Essere gentili significa essere empatici e disponibili ad aiutare e empatici (Foto di Geralt da Pixabay).

Vivendo in un mondo cibernetico, un comportamento genera una risposta a esso conseguenziale, per cui l’essere gentile genera gentilezza e una maggiore disponibilità, e le probabilità che possano insorgere conflitti o inasprimenti sono inferiori.

La nostra vita è quasi sempre accompagnata da stress e, di conseguenza, ansia, rabbia, somatizzazioni e stati depressivi complicano il nostro vivere quotidiano. Infatti diventiamo sempre più irritabili, irascibili, poco propensi al dialogo e alla comprensione. Sembra che tutti siano contro di noi, compresi noi stessi.

Cosa ci succede? Cosa ci porta a questo tipo di reazioni?

Il potere di essere gentili
Foto di Alex Green da Pexels.

Il nostro dialogo interno, sempre più critico, ci fa sentire inadeguati non solo nei confronti degli altri, ma anche verso noi stessi. Quante volte ci critichiamo di fronte agli altri, forse per batterli sul tempo prima che possano farlo loro?

“Sono proprio un imbranato” o “Sono negato nel fare i calcoli” o “Sono proprio una frana” o “Sono proprio una balena”. Queste e altre frasi fuoriescono dalla propria bocca, come proiettili vaganti alla ricerca di un unico bersaglio, se stessi.

È un atteggiamento difensivo – che ovviamente rivela mancanza di autostima – che deriva dal bisogno di non essere abbandonati, rifiutati, ed è collegato ai basilari istinti di sopravvivenza.

Ma come si diventa così critici con se stessi?
Lo si acquisisce durante l’infanzia, nella relazione con i genitori. I bambini quando sono piccoli riversano la loro fiducia inconsciamente sui loro genitori, soprattutto per capire e interpretare il mondo intorno a loro e se stessi. Quindi il comportamento genitoriale svolge un ruolo importante nello sviluppo dei propri figli.

Purtroppo spesso i genitori usano il criticismo per tenere i figli al sicuro o per motivarli. Sentiamo frasi del tipo: “Non fare lo stupido, scendi di lì” o “Non farai mai niente nella vita se non studi e ti impegni”. Il risultato? Molti figli pensano che la critica sia l’unico modo per motivarsi. È stato dimostrato che coloro che hanno avuto genitori ipercritici durante l’infanzia, da adulti saranno, con molta probabilità, critici con se stessi.
Ma non sono solo i genitori gli unici influencer, ma qualsiasi altra figura significativa (nonno, insegnante, coach, etc.) tanto da indurre all’inflessibilità verso se stessi e gli altri.

Insicurezza, ma anche depressione e psicosi
Il potere di essere gentiliNumerose ricerche hanno dimostrato che gli stati mentali come il senso di colpa, la vergogna e l’autocritica, possono creare molti disturbi psicologici, che possono andare dalla depressione alle psicosi. Si è osservato che stati mentali positivi, come il senso di felicità, l’ottimismo e la soddisfazione, determinano un migliore benessere fisico e, di conseguenza, gli stati mentali negativi si alleggeriscono.

Risulta allora importante cambiare il modo in cui affrontiamo noi stessi, le nostre imperfezioni, le nostre inadeguatezze che aumentano ancora di più nel momento in cui il nostro criticismo diventa quasi assillante. È un rinchiudersi in una gabbia, in cui apparentemente ci sentiamo al sicuro, ma in realtà è una morsa sempre più stretta che c’impedisce di avanzare. Tali pensieri ci fanno sentire anormali, imperfetti, come se gli altri sono migliori di noi e così ci si isola.

Essere più gentili con se stessi

Il potere di essere gentili
Disegno di RosZie da Pixabay

E allora? Bisogna essere più gentili con se stessi, giudicarsi di meno, potenziare la propria capacità di accettazione. Parliamo di Self-compassion, compassione e comprensione verso ogni pensiero di auto scherno.

In pratica imparare ad autoaccettarsi, ad accogliere tutte le parti di noi stessi (sia positive che meno positive) per come sono. È importante imparare ad accettare anche quelle parti di noi che rifiutiamo perché altrimenti entriamo in un circolo vizioso da cui poi abbiamo difficoltà a uscire, diventando sempre più misantropi e soli.

Se facciamo fatica ad accettarci e ci critichiamo continuamente, probabilmente tale tendenza la estenderemo anche verso gli altri. Allo stesso tempo, forse avremo anche il timore di essere giudicati dagli altri e, magari, cercheremo la loro approvazione. È come se il giudicare gli altri ci tornasse indietro come un boomerang, attraverso gli altri.

Il fenomeno della proiezione

Siamo tutti connessi (Immagine di Geralt da Pixabay).

In psicologia tale fenomeno viene chiamato proiezione, cioè si riscontra negli altri quello che fatichiamo a riconoscere in noi stessi. Uscendo da questa dinamica ci si può rendere conto che anche gli altri vivono le stesse nostre problematiche, magari in modo diverso, e questo evita di personalizzare le proprie paure e il proliferare di pensieri negativi e inutili.

Risulta quindi chiaro quanto sia importante trattarsi con gentilezza e prendersi cura di se stessi se si vuole vivere in uno stato di benessere non solo fisico, ma anche psichico.
Compassione e autocompassione ci aiutano a sentirci parte di un tutto, connessi alle altre persone e non miseramente soli. La cultura occidentale attribuisce grande importanza all’individualità, all’unicità di ogni persona. È giunto forse il momento di iniziare a recuperare tutto quello che ci permette di essere connessi, vicini e capire come il nostro dolore abbia un corrispettivo nel dolore dell’altro.

Una lente sul mondo

Come cambiare il modo di vedere le cose con la PNL e “reincorniciarle”

 

 

 

 

 

 

di Terry Bruno. Pubblicato su Karmanews

Per risolvere un problema, è meglio porre l’attenzione sulla soluzione e non sulle difficoltà.

 

Per una vita migliore è opportuno essere disponibili al cambiamento e, affinché questo possa avvenire, occorre essere flessibili, vedere le cose da punti di vista differenti in modo da trovare possibili soluzioni.

In PNL parliamo di “reincorniciamento”, che letteralmente significa “mettere una cornice diversa o nuova, a un’immagine o a un’esperienza”. Dal punto di vista psicologico, significa cambiare il significato a un’esperienza. Per comprendere meglio il tutto possiamo usare la metafora del quadro. Esso ci appare spento e poco attraente per la presenza, ad esempio, di una cornice, incrostata e rotta.

Una lente sul mondo
Foto di Dean Moriarty da Pixabay.

Se la cambiamo, magari mettendone una più idonea all’ambiente dove il quadro sarà collocato, esso ci apparirà in tutto il suo splendore e magari riusciremo ad apprezzare anche i particolari.

Potremmo, quindi, dire che le cornici influenzano il modo in cui interpretiamo la realtà e le risposte a determinati eventi ed esperienze, in pratica esse orientano il nostro focus.

Con il reincorniciamento si inviano al cervello stimoli diversi e più potenzianti tali da influire positivamente sugli stati d’animo e sui comportamenti a essi associati. Interessante è scoprire che in PNL abbiamo la cornice risultato, la cornice come se e la cornice feedback invece che fallimento, tra le più comuni.

A cosa serve la cornice risultato
Questa cornice serve a mantenere l’attenzione sull’obiettivo o sullo stato desiderato. Essa è contrapposta alla cornice problema che invece mantiene l’attenzione su “ciò che è sbagliato” o su “ciò che non si vuole”, invece che su “ciò che si desidera” o “ciò che si vuole” e sulle risorse necessarie per ottenerlo.
Attraverso la cornice risultato noi possiamo riformulare le affermazioni che ci facciamo circa un problema, riformulandole in positivo.

Una lente sul mondo
Foto di JD da pixabay.

Molto spesso indichiamo involontariamente i risultati che vorremmo ottenere, ma li formuliamo in negativo. Facciamo un esempio:  “Voglio smettere di fumare”, “Voglio evitare i problemi”, etc.
Cosa stiamo facendo? Stiamo focalizzando la nostra attenzione su ciò che pensiamo di non essere in grado di fare e, spesso, queste asserzioni sono associate a suggestioni relative al problema.

Ad esempio il pensare: “Non voglio avere paura” presuppone la suggestione che “avrò paura”, condizionando il mio comportamento.

Allora considerando la cornice risultato, si implica il chiedersi: “Che cosa vuoi?” o “Se non avessi paura, come mi sentirei?”. Questo cambio di prospettiva permette di capire meglio la situazione e di avere più informazioni per uscire dall’impasse.

Quali domande porsi da incorniciare
Vediamo quali domande occorre porsi per acquisire più informazioni dello stato problema e dello stato desiderato.

Domande Cornice-problema                    Domande Cornice-risultato

*Che cosa è sbagliato?                                         *  Come puoi ottenerlo?
*Che cosa vuoi?                                                     *  Quali risorse hai?
*Perché è un problema?
*Che cosa lo ha causato?
*Di chi è la colpa?

Una lente sul mondo
Foto di Gerd Altmann da Pixabay.

La cornice risultato è molto utile per districare la matassa in cui alcune persone si ingarbugliano, quando si bloccano su uno schema di pensiero che tendono a voler risolvere, a voler capire, a voler sistemare.

La cornice come se, invece, serve a spostare l’attenzione dal sentirsi impossibilitato nel fare qualcosa, ad agire, considerando l’obiettivo come già raggiunto.

La cornice feedback invece che fallimento, serve a vedere gli errori, i sintomi, i problemi, come possibili risultati, utili a effettuare delle modifiche per orientarci verso ciò che si desidera, piuttosto che verso ciò che si teme.
Esistono, quindi, cornici che possono limitare le proprie azioni e comportamenti. Altre, invece, possono ampliare le proprie possibilità d’azione e dare origine a delle opportunità.

Un esempio di reincorniciamento
Quando ci si trova di fronte a una situazione difficile da gestire, comunque vada, puoi farcela, la puoi gestire. E se in seguito rifletti su ciò che è avvenuto, ti puoi accorgere che è stato un apprendimento utile sotto vari aspetti.
Perché? Perché puoi valutare la tua forza, le tue risorse e in quali contesti utilizzarle. Reagire e affrontare adeguatamente le situazioni, ti fanno scoprire le vere opportunità della vita.

Foto di copertina diGerd Altmann da Pixabay.

PNL: i modelli linguistici

Il nostro modo di parlare condiziona le emozioni e il comportamento

di Terry Bruno, pubblicato su Karmanews

Una cosa non è giusta o sbagliata, è il significato che noi le diamo che la rende tale (come afferma Shakespeare).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come nasce la percezione degli eventi vissuti? Ognuno di noi ha una propria visione del mondo che è la conseguenza delle proprie esperienze che si sono formate attraverso il linguaggio e i sistemi rappresentazionali sensoriali. In PNL si dice che la “mappa non è il territorio”, ciò che è nella nostra mente non è la realtà.

Alfred Korzybski, ingegnere, filosofo e matematico polacco (1879-1950).

 

Questo principio fu formulato per la prima volta da Alfred Korzybski, fondatore della semantica generale, le cui idee hanno contribuito allo sviluppo della Programmazione Neurolinguistica. In base alle nostre mappe interne, noi interpretiamo il mondo che ci circonda e reagiamo a esso, e diamo un significato ai nostri comportamenti e alle nostre esperienze.

Amleto di Shakespeare diceva: “Una cosa non è giusta o sbagliata, è il significato che noi le diamo che la rende tale”.
Quello che ognuno di noi deve imparare a fare è di ampliare la propria visione del mondo, uscire dalla confort zone. In questo modo le sue probabilità di successo vengono ampliate. Siamo noi che mettiamo dei limiti al nostro agire. E se vogliamo dirlo con le parole di Albert Einstein: “Il nostro pensiero crea dei problemi che non può risolvere”.

Le persone che hanno successo sono coloro che hanno una mappa del mondo che permette loro di cogliere il maggior numero di opzioni e prospettive, per cui hanno un modo di percepire, organizzare e rispondere con più facilità. Le loro esperienze saranno quindi più positive.

Cosa s’intende per esperienza e come si forma?
L’esperienza è un processo attraverso cui avvertiamo, percepiamo e sentiamo ciò che avviene dentro di noi e le reazioni interne che ne derivano. Per esempio l’esperienza di un litigio, di un’alba o di un viaggio, dipende da come percepiamo quell’evento e dalla nostra partecipazione a esso.

PNL: i modelli linguisticiLe nostre esperienze sono determinate dalle informazioni che penetrano dentro di noi attraverso i nostri organi di senso, le nostre finestre sul mondo, a cui si associano le fantasie, i ricordi, le sensazioni e le emozioni che si creano dentro di noi. Quindi le esperienze sono sensorialmente basate e soggettive.

L’acquisizione, in seguito, di nuove informazioni che si aggiungono a quelle precedenti, ci permette di essere più flessibili. Affinché, però, questo possa avvenire, occorre lasciar andare i nostri filtri interni e focalizzarsi sul qui e ora.
Tale processo fa parte di un’abilità base della PNL, definita uptime, cioè uno stato in cui la consapevolezza sensoriale è concentrata sull’ambiente esterno e nel qui e ora.

Questo ci aiuta a godere e percepire appieno la vita e le varie opportunità che essa ci offre. Quando siamo concentrati sul qui e ora, cioè sulle informazioni che riceviamo attraverso i nostri sensi, parliamo di esperienza primaria. Quando invece la nostra esperienza è condizionata dai giudizi, dalle interpretazioni, dalle valutazioni siamo di fronte a un’esperienza secondaria, che è soggetta a cancellazioni, generalizzazioni e deformazioni. Coloro che sono più positivi e apprezzano la vita, vivono le proprie esperienze in modo più diretto, senza se e senza ma, senza pensare a ciò che potrebbe accadere o alle aspettative spesso disattese.

Come utilizzare gli Sleight of Mouth, i modelli linguistici

PNL: i modelli linguistici
“Incorniciatura” di Wolfgang Eckert.

Cosa si può fare? Diventare più consapevoli di questi filtri, in modo da potercene liberare, ad esempio arricchendo le proprie prospettive e ampliando la propria mappa del mondo.
Per poter fare questo possiamo utilizzare dei modelli linguistici, definiti Sleight of Mouth, che ci permettono di incorniciare o reincorniciare la percezione di una situazione o esperienza. Cerchiamo di capire meglio cosa s’intende per incorniciatura di un evento. In pratica è la cornice in cui noi inseriamo l’evento.

Facciamo un esempio. Siete in casa con la vostra famiglia o degli amici. All’improvviso sentite un rumore in cucina. Ci fate caso, ma non troppo in quanto pensate che possa essere stato qualcuno che è andato in cucina. Cambiamo momento: è notte e siete da soli, sentite un rumore e, in base alle vostre esperienze potreste pensare che possa essere un ladro o qualcuno che è rientrato a casa.

Il significato delle esperienze che viviamo dipende dal contesto in cui le inseriamo e dalle nostre esperienze precedenti. Cambiando la cornice si cambia il contesto e, di conseguenza, cambia immediatamente il significato dell’esperienza. Le cose possono essere interpretate da vari punti di vista, ricontestualizzando qualsiasi situazione.

L’esperienza cambia con i connettivi “ma” e “anche se”.

PNL: i modelli linguistici
Foto di Olya Kobruseva da Pexels.

È possibile farlo anche attraverso le parole che, non si limitano a rappresentare ciò che viviamo, ma spesso incorniciano la nostra esperienza. In che modo? Portando in evidenza alcuni aspetti e lasciando sullo sfondo altri.
Quando noi colleghiamo tra loro delle idee o degli eventi attraverso i connettivi “ma”, “e”, “anche se”, il significato dell’esperienza cambia, perché cambia il focus della nostra attenzione.

Ad esempio se dico: “Oggi sono felice, ma so che non durerà”, l’attenzione si sposta sul fatto che la mia felicità finirà, trascurando che sto vivendo dei momenti di felicità. Se invece dico: “Oggi sono felice e so che non durerà”, si dà ai due eventi la stessa importanza.

Con la frase: “Oggi sono felice, anche se so che non durerà”, l’effetto dell’esperienza cambia immediatamente, nel senso che si dà più rilevanza alla prima affermazione, lasciando sullo sfondo la seconda. Ci sono persone che utilizzano maggiormente la prima modalità, o schema, negando l’aspetto positivo delle loro esperienze.

Come applicare uno Sleight of Mouth verbale

  1. Identificate un’affermazione in cui un’esperienza positiva viene sminuita da un “ma”.
  2. Sostituite il “ma” con “anche se” e noterete come l’affermazione cambia di significato.

“Ho risolto la situazione, ma domani potrebbe ripresentarsi”, cambia con “Ho risolto la situazione, anche se domani potrebbe ripresentarsi”.
Per concludere lo Sleight of Mouth ci permette di mantenere un punto di vista più equilibrato ed è molto utile per coloro che tendono a dire: “Si, ma…”.

 

La risoluzione dei conflitti con la PNL

Di fronte a una scelta o a una soluzione, due voci contrapposte emergono dal profondo

 

 

 

La psicoterapeuta Terry Bruno.

Nei primi anni di vita la nostra parte incoscia è molta attiva. A mano a mano che il tempo passa la mente conscia incomincia a prendere il sopravvento e a sostituire quella inconscia, soprattutto per quanto riguarda la socialità, la comunicazione e l’utilizzo della propria intelligenza.

A cosa è dovuto tutto questo? All’imprinting dei nostri genitori e delle figure di riferimento, all’influenza scolastica, religiosa e alle proprie esperienze di vita. Tuttavia tale processo non annulla la mente inconscia, che resta sempre presente e attiva.

Pensate allora quanto sia importante che la parte conscia e inconscia siano in equilibrio, in accordo. Quando ciò non avviene, ecco che nasce un conflitto.

 

Uno, cento, mille conflitti
Per conflitto s’intende, in genere, una discordanza tra persone, idee o interessi che sono tra loro incompatibili o opposti. Dal punto di vista psicologico parliamo di conflitto mentale, una lotta molto spesso a livello inconscio, tra diverse e opposte rappresentazioni del mondo.

La risoluzione dei conflitti con la PNL
Foto di Gerd Altmann da Pixabay.

Si possono verificare conflitti interiori (all’interno del nostro io) e conflitti interpersonali, cioè all’esterno verso gli altri. Quelli interiori sorgono tra parti differenti dell’esperienza umana. Un esempio è dato dai conflitti comportamentali. Una persona può volere, da una parte, rimanere a casa davanti alla televisione e dall’altra parte invece uscire e fare esercizio fisico, fondamentale per la sua forma fisica.

Ma i conflitti possono riguardare anche i valori, le convinzioni, che possono essere contrastanti. Ad esempio una persona può essere certa da un lato che sia giusto imparare l’inglese, ma nello stesso tempo pensare di non essere in grado di poterlo fare. La conseguenza sarà l’insorgenza di una battaglia sulla possibilità di apprendere o meno la lingua. Esistono anche conflitti a livello di identità che riguardano i ruoli. Ad esempio si possono vivere dei conflitti tra il ruolo di genitore e quello di professionista.

Quindi potremmo dire che i conflitti interiori riguardano parti diverse di un unico sistema mentale ed è come se l’individuo si trovasse tra l’incudine e il martello. Secondo Freud, quando ci si trova di fronte a tale situazione una parte, tra le due, rimarrà frustrata e insoddisfatta.

 

Un Io, più cervelli, tante personalità
La risoluzione dei conflitti con la PNLIn PNL parliamo di parti, cioè aspetti di noi stessi che si manifestano attraverso comportamenti, pensieri o immagini. È come se noi avessimo varie personalità, che potremmo rappresentare come delle maschere che indossiamo e attiviamo in alcune situazioni. Quante volte sentiamo dire: “Non comportarti come un bambino!”. Cosa lo spinge ad avere un comportamento così diverso, irrazionale, infantile? È come se avesse scelto quel comportamento non consono alla sua età, attivato da una situazione, da un’emozione inconscia.

Se ragioniamo in termini di parti è molto più facile delimitare un comportamento indesiderato e poterci lavorare, in quanto un’azione non viene attuata da noi stessi, ma solo da una parte di noi. In PNL si dice che noi siamo un condominio di parti, cioè nostri comportamenti che si sono cristallizzati in determinati momenti della nostra vita. E proprio per poter individuare e risolvere i conflitti interiori e interpersonali, la PNL mette a disposizione risorse e tecniche a cui attingere come la ristrutturazione, l’integrazione tra parti, lo spostamento di posizioni percettive.

Il gioco tra le parti: ma voi da che parte state?
Forse vi sembrerà strano tutto questo, ma riflettete su alcune espressioni:
♣ “Da una parte vorrei chiamarlo/a, dall’altra vorrei che sparisse dalla mia vista!”
♣ “So di sbagliare, ma non posso fare diversamente”
♣ “È più forte di me, è come se una parte di me mi spingesse a farlo”
♣ “Voglio smettere di fumare, ma una parte di me lo impedisce, forse perché le piace troppo ed è più forte dell’altra”
♣ “Da un lato voglio avere un rapporto, dall’altro amo la mia libertà”
♣ “Non capisco perché continuo a comportarmi così”

Vi siete riconosciuti in alcune di queste asserzioni?
La conseguenza è molto spesso un senso di colpa e uno stato d’impotenza nei confronti di se stessi. Si è bloccati in un’impasse devastante che crea confusione e disorientamento.

 

Cosa fare dunque per la risoluzione del conflitto?

La risoluzione dei conflitti con la PNL
Foto di John Hain da Pixabay.

In realtà ognuna di queste parti ha un proprio modo di vedere la realtà e ha sempre un’intenzione positiva nei confronti di chi vive il conflitto e la vuole raggiungere in modo diverso. Per la risoluzione del conflitto, quindi, occorre identificare l’intenzione positiva di entrambe le parti, ponendo a ciascuna parte delle domande che hanno l’obiettivo di far riflettere. Ad esempio:

“Cosa vuoi ottenere quando ti comporti in questo modo?”
“Una volta ottenuto ciò che vuoi, cosa ottieni?”
“Quali sono i motivi per i quali vuoi ottenere questo…”

Supponiamo che entrambe le parti, vogliano per il soggetto la salute, il benessere, il piacere, la felicità, etc. In questo caso si può passare alla condivisione degli obiettivi trovati. In caso in cui le intenzioni positive sono diverse, è necessario trasferire le risorse che una parte possiede all’altra. In questo modo viene facilitata la cooperazione e l’integrazione delle parti. Questa tecnica viene chiamata “integrazione tra parti”, ed è un modo efficace di analizzare e rielaborare i dati della realtà. È una negoziazione inconscia che permette, a chi vive il conflitto, di capire meglio cosa succede al suo interno e di trovare una soluzione.

Foto di copertina di Tumisu, da Pixabay

Le ancore della nostra vita

Una delle pratiche più utili della PNL per affrontare le emozioni è l’ancoraggio. Vediamo che cos’è e come si usa.

Il più delle volte non ci rendiamo conto di quanto siamo influenzati dalle nostre emozioni. Vi siete mai chiesti come mai avete provato paura o ansia di fronte a qualcosa che per altri aveva invece un significato diverso? E cosa ha scatenato in voi una musica, una canzone o, ancora un odore, un sapore che risulta indifferente invece per altri?

Le emozioni che influiscono sul comportamento

Le ancore della nostra vita

Foto di Gino Crescoli da Pixabay

 

Qualunque stranezza che infastidisca il nostro stato emotivo si ripercuote sul nostro modo di comportarci. Pensate a cosa succede quando provate rabbia, paura, irritazione, senso di colpa, insicurezza, frustrazione, o dubbi. I risultati che ottenete sono senz’altro inferiori a ciò che potreste raggiungere.

Al contrario, pensate alle volte che avevate un senso di calma, di sicurezza, di felicità e gioia, o eravate ispirati e creativi, e molto probabilmente avete ottenuto dei esiti superiori, indipendentemente dal contesto.

Facciamo un esempio: per me uno stato di sicurezza e agio mi aiuta a tenere corsi di formazione o conferenze, mentre uno stato di concentrazione mi permette di poter scrivere articoli o libri. Se impariamo a riconoscere gli stati per noi più utili nelle varie situazioni in cui vogliamo eccellere, possiamo cercare di entrarvi quando vogliamo. Questa capacità di creare uno stato funzionale al nostro benessere, viene chiamato in PNL Ancoraggio.

I riflessi condizionati
Se fossimo in un contesto marinaro, penseremmo a un oggetto pesante che, una volta buttato in acqua, tiene una nave ferma in un punto. Anche noi facciamo uso di tanti ancoraggi psicologici, che servono a consolidare, fissare e sostenere. Questi ancoraggi sono il risultato di una potente neuroassociazione tra uno stato interno intenso (forte emozione) e uno stimolo esterno che può essere visivo, auditivo o cenestesico (tattile, olfattivo, gustativo).

Esso è simile al condizionamento classico stimolo-risposta di Pavlov effettuato con i cani. Pavlov, etologo e fisiologo russo, notò che il naturale riflesso salivare dei cani di fronte alla vista della carne, poteva essere condizionato con degli stimoli esterni, quindi non fisiologici.

Egli iniziò suonando una campanella prima di somministrare la carne al suo cane e misurò la salivazione subito dopo aver suonato la campanella e poi all’arrivo della carne. Ripeté il tutto più volte e si accorse che la salivazione del cane iniziava ad aumentare non più all’arrivo della carne, ma già al suono della campanella. Che cosa era successo? Il cervello aveva associato il suono della campanella alla carne. Questo è ciò che accade quando viviamo una forte emozione mentre guardiamo, ascoltiamo, tocchiamo, gustiamo o odoriamo qualcosa.

Ma che cos’è l’ancoraggio?
Durante la nostra vita creiamo tantissime associazioni e collegamenti, spesso inconsciamente, a diverse situazioni che ci troviamo ad affrontare. Alcune sensazioni ci rafforzano, altre ci indeboliscono. Alcune ancora sono per noi motivanti, altre ci fanno reagire in modo fobico. Inconsapevolmente passiamo la maggior parte della nostra vita ad essere preda di ancore. Chi soffre di alcune fobie, avrà sperimentato senz’altro un ancoraggio negativo a una situazione, un luogo, un animale, per poi riviverla in seguito tutte le volte in cui sarà nuovamente a contatto visivo, uditivo o cenestesico.

Le ancore della nostra vita

Foto di makammos2303 da Pixabay

 

Un determinato tono di voce ci può ricollegare a un genitore magari molto critico. Una musica ci può ricordare il primo ballo emozionante con la ragazza/o, e riprovare quella emozione ogni qualvolta la si risente. Come potete osservare, le ancore non sono solo negative. Esse sono programmi appresi e stato-dipendenti. Molte di esse si creano durante l’infanzia. L’esperienza iniziale è in genere dimenticata, ma la risposta emotiva rimane nel tempo.

Anche le parole sono ancore
Pensate a quando leggete o ascoltate delle parole che vi riportano alla mente situazioni che non hanno alcun nesso col contesto in cui siete. Pensate alla pubblicità: essa utilizza moltissimo ancore per incoraggiare le persone a comprare un dato prodotto. Ad esempio pongono bellissime ragazze accanto a splendide macchine, oppure si servono di ragazzi statuari per consigliare un profumo da uomo.

Mediante le ancore possiamo riprendere e rivivere un qualsiasi momento della nostra esistenza. Considerate l’ancora creata dai vostri genitori quando vi prendevano per mano e camminavate insieme. Se sollevate un po’ il braccio, ripetendo quei movimenti, ritornerete bambini. Questo avviene perché si è creato a livello cerebrale un solco neurale, che si riattiva ogni volta che ne viene sollecitato. Questo solco neurale è dato dallo stimolo esterno più l’emozione.

Le ancore sono anche molto utili nella nostra vita. Prendiamo il caso di una donna incinta. Se fa ascoltare più volte al feto una musica tranquilla durante la gravidanza, quando il bambino nascerà, il riascoltare quella musica lo riporterà nello stato di benessere vissuto nel grembo materno e si rilasserà. Quando il feto è nel grembo materno, soprattutto quando si muove, per cui si ha la percezione della sua esistenza, è molto importante parlare col bambino. Egli non capisce le parole ma ne riconosce il suono. Il comunicare in modo dolce e tranquillo, determina un ancoraggio uditivo che sarà molto utile in seguito, nella sua vita.

Come migliorare la nostra vita usando le ancore

Le ancore della nostra vita

Foto di Tú Anh da Pixabay

 

La PNL ci permette di trasformare le ancore in qualcosa di cosciente, facendole diventare delle nostre risorse, per aiutarci a migliorare la nostra vita. Come fare? Quando vivete una situazione emozionale molto forte, unite l’indice al pollice della vostra mano, ad esempio sinistra. Sentite l’emozione dentro di voi. Poi disunite le dita, distraetevi un attimo, e ritornate alla sensazione di prima. Quando la sentite di nuovo forte, riunite le dita. Fate questo per almeno tre, quattro volte.

Durante questo procedimento, fate anche molta attenzione al vostro respiro mentre siete nello stato emozionale intenso. A questo punto distraetevi, fate qualcosa, e poi riunite le dita.

Se avete eseguito bene il processo, risentirete lo stato emozionale provato prima. Questo è un ancoraggio cenestesico ed è molto forte. Ogni volta che vi accade qualcosa di buono, ancoratevi. Ancorarsi significa toccarsi, dirsi e guardare qualcosa che in quel momento è associato a un’emozione intensa. Noi abbiamo bisogno dello stato d’animo giusto al momento giusto. L’ancoraggio ci permette di farlo.

Foto in copertina di Manfred Richter da Pixabay

Scopri il responsabile delle tue decisioni

Continua la serie di approfondimento della PNL: i metaprogrammi

Psicologia-PNL di Terry Bruno

Analizziamo la dinamica delle decisioni che prendiamo, la cui origine è spesso inconscia. Molte scelte sono fatte per essere approvati dagli altri.

Decidere, un verbo apparentemente semplice e allo stesso tempo complicato. Ogni giorno siamo indotti a prendere decisioni, dalle più semplici alle più difficili. Alcune volte le prendiamo consciamente, ma molto spesso lo facciamo inconsciamente. Esse possono influenzare i nostri rapporti, il nostro lavoro, la nostra vita. Possiamo bloccarci davanti a una presa di posizione e allora cerchiamo di rimandarla, di evitarla, e non ci rendiamo porte.Foto-di-Arek-Socha-da-Pixabayconto che anche in questo modo stiamo prendendo una decisione.

Cosa ci spinge a rimandare?

La paura di sbagliare, di non prendere una decisione giusta. In realtà non esiste una scelta giusta o sbagliata, ma è la nostra percezione a influenzarci. Questo dipende dalle caratteristiche personali, dalle proprie capacità, e anche dal modo in cui noi prendiamo le informazioni utili per il nostro obiettivo, cioè se facciamo riferimento a ciò che proviamo e pensiamo o se invece ci lasciamo influenzare da pareri esterni.

Per capire meglio il nostro modo di agire possiamo fare riferimento ai Metaprogrammi, programmi inconsci che noi utilizziamo per filtrare le informazioni e quindi prendere decisioni, motivarci, etc. Usiamo il termine “Meta”, per indicare programmi che si collocano al di sopra di altri programmi, nel senso che guidano e dirigono altri processi di pensiero. Essi sono alla base delle nostre abitudini comportamentali.

Il bisogno di approvazione

Avete mai notato come alcune persone per poter fare una scelta hanno bisogno di un feedback esterno, mentre per altre basta ciò che sentono e pensano? Prendiamo due persone che suonano il piano. La prima esegue la sua performance e alla fine è soddisfatta della sua prestazione e i complimenti che riceve sono una conferma di ciò che pensava.
La seconda realizza perfettamente la sua esecuzione ma ha bisogno di ascoltare gli applausi per potersi convincere che tutto sia andato bene.

La prima appare sicura di sé ma, a volte, relazionarsi con lei è un po’ complicato perché agisce come se sapesse già come dovrebbe andare una cosa. La seconda appare più incerta, ma flessibile, perché ascolta i consigli degli altri e si affida a loro per poter scegliere anche i brani da eseguire. Questa differenza si basa su dove esse pongono l’attenzione e il controllo del loro comportamento.

Il metaprogranma del referente

Esse utilizzano un differente metaprogramma che definiamo Referente interno o esterno: per una conta solo quello che pensa e sente (interno), mentre l’altra ha bisogno del parere di qualcuno (esterno), che dica come è andata. Certamente ognuno di noi ha diversi modelli mentali, e può usare sia il referente interno che esterno a seconda delle situazioni. Si può essere, ad esempio, referente interno sul lavoro ed esterno in famiglia.

Il Referente interno portato all’eccesso può determinare una sorta di disinteresse suoi confronti dei pareri altrui e se le opinioni sono diverse dal proprio modo di vedere, le rifiutano. Può prendere informazioni

Foto di Daniel Robert Dinu da Gigxels

Foto di Daniel Robert Dinu da Gigxels

dall’esterno, ma alla fine decide per conto proprio. Fate attenzione: mai dirgli cosa deve fare. Se qualcuno gli dà un feedback negativo non mette in discussione se stesso, ma chi lo ha espresso, quindi ha difficoltà ad accettare le critiche.

Il Referente esterno, privo di una guida esterna, può sembrare disorientato e avere difficoltà a iniziare o portare a termine un compito. Non confondete il suo bisogno di complimenti, come vanità. Essi non sono altro che un modo per capire se il mondo, o la persona che in quel momento è il suo punto di riferimento, approva la sua scelta o il suo comportamento. È però facilmente influenzabile, ma molto flessibile anche di fronte alle critiche.

Comportamento e rilascio di dopamina

Quando si è piccoli in genere si usa il metaprogramma referente esterno, perché si fa riferimento ai genitori, insegnanti. Durante l’adolescenza si incomincia a sperimentare la propria referenza, passando però prima da quella del gruppo dei pari: infatti gli adolescenti impiegano almeno due ore prima di decidere dove andare. Potremo dire che abbiamo un misto delle due referenze.

Da un punto di vista neurofisiologico, si sa che una ottima scelta o decisione dipende dalla produzione di dopamina, per cui chi ha un metaprogramma interno produce dopamina autonomamente, mentre chi utilizza quello esterno ha necessità di uno stimolo esterno per scatenare la produzione di dopamina. Anche situazioni di paura inducono ad aumentare la referenza esterna. Comunque questo meccanismo interno ed esterno si rafforza in ogni situazione.

Come capire se il referente è interno o esterno
Per capire se un soggetto ha uno schema interno o esterno, si può chiedere:
♣ “Come fai a sapere se hai fatto un buon lavoro?”
♣ “Come fai a sapere che hai comprato la casa/l’auto giusta?”
♣ “Di quali informazioni hai bisogno per decidere?”

Dalle risposte possiamo avere le informazioni per capire chi abbiamo di fronte ma anche come noi decidiamo. Se la risposta è:
♣ “Lo so, e basta!”, ci troviamo di fronte a un Referente interno;
♣ “Lo valuto in base ai risultati”, Referente interno;
♣ “Se il capo mi dice che va bene, allora ho la conferma di aver fatto un buon lavoro” Referente esterno;
♣ “Vedo cosa mi dicono gli altri” Referente esterno.

Come si comunica con persone con questi metaprogrammi?

Quando ci troviamo di fronte a persone con uno schema interno, occorre usare espressioni: “Dipende da te…”, “Sei libero di rispondere come preferisci…”, “Sei tu che devi prendere la decisione…”, “Che ne pensi

Foto di John Hain da Pixabay,

Foto di John Hain da Pixabay

di…?”.
Esse parlano delle proprie idee, valori e convinzioni e usano spesso parole e frasi come: “Io…”, “Io penso che farò così…”, “Secondo me…”, “A mio avviso”, “Lo so e basta”, “Lo sento, mi dà una bella emozione”.

Con chi ha uno schema esterno, basta dire: “Ritengo che la cosa migliore sia…”, “Numerosi studi dicono che…”, “Si dice che questo prodotto sia buono…”.
Essi quando parlano difficilmente dicono: “Io penso che…”, ma piuttosto: “Tu dici allora che…”, “Le persone dicono…”, “I miei amici dicono…”, “Ho letto che…”, “Lo confermano le cifre…”.

Non aver paura di decidere, nel momento in cui lo farai ti sentirai libero

Tutti i metaprogrammi solo legati a un determinato contesto e alle abitudini.

Esempio, se fate una cosa da molto tempo o avete affrontato un evento positivamente, molto probabilmente il vostro indice referenziale sarà positivo, cioè contate su di voi e sulle vostre sensazioni.

Se invece vi accingete a fare qualcosa di nuovo, ebbene in questo caso è molto probabile che farete riferimento a quello esterno, per definire se, in quel contesto, il vostro agire è giusto o sbagliato.

Comunque vada, l’esplorazione di noi stessi e cosa ci porta a comportarci in un determinato modo è un aspetto meraviglioso della nostra vita.

Per saperne di più:
Philip Miller, “La cassetta degli attrezzi della PNL”, ed Amrita

Bozza automatica

Psicologia-PNL di Terry Bruno

Approfondiamo la conoscenza della PNL, affrontando i metaprogrammi

Secondo la PNL, il nostro carattere e le nostre scelte sono influenzate da dei metaprogrammi, schemi mentali che influiscono su emozioni e comportamenti.

 

Ognuno di noi ha una propria rappresentazione della realtà che è il frutto del nostro modo di pensare, delle nostre convinzioni e di come selezioniamo le informazioni.
Noi siamo colpiti da circa 2 milioni di informazioni al secondo, che giungono al nostro cervello attraverso i canali sensoriali. Se dovessimo ritenerle tutte impazziremmo. Per questo usiamo inconsciamente dei sistemi per filtrarle e poterle così interpretare e ricordare. In pratica utilizziamo un set di programmi mentali che fa passare solo alcune informazioni, impedendo l’ingresso di altre.

Per capire meglio questo meccanismo, prendete la registrazione di una conversazione o di una lezione e risentitela. La vostra attenzione sarà attratta da suoni che non avevate avvertito in quel momento, magari un brusio di sottofondo che rendeva non facilmente accessibile l’ascolto dell’interlocutore. Eppure voi avete ascoltato e continuato a parlare.

Cosa è successo? Il nastro ha registrato anche ciò che era al di fuori del vostro ristretto contesto (suonerie di cellulari, colpi di tosse, porte che si chiudevano o si aprivano), mentre voi non avvertivate nulla grazie alla selezione effettuata tramite i vostri filtri, selezionando solo le informazioni che vi interessavano.

Questo spiega anche le interpretazioni che ognuno di noi fa di una conversazione, in quanto essa è influenzata dalla selezione d’informazioni che facciamo su ciò che ci piace o meno, in accordo o disaccordo con noi o se riteniamo alcuni argomenti interessanti o meno.

Questi programmi percettivi o mentali li usiamo continuamente nel nostro modo di fare esperienza, per comunicare con gli altri, per risolvere i problemi, per superare le difficoltà, per fare delle scelte, per decidere se fidarsi o meno di una persona, per apprendere e via dicendo. Essi vengono chiamati in PNL metaprogrammi.

Che cosa sono i metaprogrammi
I metaprogrammi sono schemi interni che influiscono sia sulle emozioni che sui comportamenti. Attraverso essi prestiamo attenzione a qualcosa piuttosto che a qualcos’altro. Affondano le loro radici nella genetica e nei primi anni di vita. Infatti alcuni di loro si installano quando il neonato ha le prime esperienze con gli adulti di riferimento e con

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l’ambiente in cui vive.
Essi sono collegati al tipo di relazione che si è avuta con la madre, all’utilizzo dei sensi, ai movimenti del corpo, ai ritmi dell’organismo.

Possiamo paragonare i metaprogrammi inseriti nel nostro cervello ai programmi del  computer, che fanno in modo che esso funzioni.
Ogni metaprogramma ha due polarità opposte: può essere normale/trasgressivo, introverso/estroverso, autonomo/dipendente.

Ognuno di noi si pone in una delle due polarità, trovando innaturale, errata, la polarità opposta.

Immaginiamo un soggetto introverso: egli non riuscirà a capire come una persona possa essere così disponibile e spigliata nei confronti degli altri e del mondo. Giudicherà, allora, quel comportamento inidoneo.

Per capire meglio la polarità pensiamo a un termostato che regola i gradi del riscaldamento, che va da 0 a 100, per cui decidere se stare spenti o passare a 100, ma si potrebbe anche imparare ad andare gradatamente verso la polarità opposta.

Ma non è detto che in un determinato contesto un soggetto timido non possa diventare improvvisamente coraggioso, come un individuo che si è sempre ribellato non possa rientrare nei ranghi. Questo cambiamento può avvenire se nel corso della vita si verifichino eventi tali da influenzare il comportamento. Normalmente essi possono essere compensati. Essi dipendono dal contesto e ogni individuo ne preferisce alcuni.

Scegliere la direzione: andare “verso” o andare “via”?

I metaprogrammi servono a conoscere se stessi e gli altri, permettendo così di migliorare la propria comunicazione e relazione; a motivarsi e a motivare; a persuadere; a educare i figli; nel rapporto di coppia, con gli amici e colleghi di lavoro.

Uno dei metaprogrammi più noti è quello relativo alla direzione che prendiamo quando effettuiamo una scelta. Esso ci dice se le persone che lo utilizzano vanno verso una direzione o vanno via da qualcosa.

Chi usa il metaprogramma andare verso sa cosa vuole. Normalmente quando parla esprime ciò che desidera, gli ostacoli per lui non sono un problema, si focalizza sui risultati e su ciò che otterrà. Quindi è un soggetto che vede il bicchiere mezzo pieno.

Al contrario chi usa il via da parlerà degli ostacoli che potrà incontrare e deve evitare delle situazioni da cui si vuole allontanare. In pratica non fa altro che considerare i problemi e parlerà solo di ciò che non vuole. Questo modo di affrontare le cose lo porterà a non aver ben chiari gli obiettivi, perché sarà focalizzato prettamente sugli ostacoli e il raggiungimento della meta sarà più lento.

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Pro e contro i metaprogrammi della direzione

Ma non è detto che ambedue le polarità non abbiano dei lati negativi o positivi, nel senso che il soggetto verso ha bisogno di avere i piedi un po’ più per terra, di imparare a essere più realista e di assaporare le varie tappe che percorre per raggiungere la meta. Il via da, proprio per il suo modo di vedere gli ostacoli, ha la capacità di poter individuare i possibili problemi. Quindi è più realista del verso.

Anche se ognuno di noi li può adottare in diversi contesti in modo alternato, tendiamo a preferirne uno rispetto all’altro. Come ho detto prima, possiamo compensare un metaprogramma, cioè allenarci fino a far diventare automatico un diverso comportamento.

Ad esempio se io adotto un via da devo allenarmi fino a far diventare automatica il pormi la domanda: «Questo è quello che non voglio; ma cosa voglio ottenere, di preciso?». In genere le persone compensate sono 50 e 50, le persone esclusivamente verso sono il 20%, mentre le via da sono l’80%.

Conoscere i metaprogrammi quindi ci aiuta a capire chi siamo e come possiamo migliorarci, ma anche come capire gli altri per ottenere un rapporto più efficace.

 

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Continua la serie di approfondimento della PNL

Psicologia-PNL di Terry Bruno

Nella PNL si utilizza la Time Line come tecnica per superare i traumi passati o le ansie del futur0, ma anche per riuscire a realizzare i propri obiettivi.

Il tempo scorre, portando con sé ricordi, sensazioni, emozioni, esperienze, eventi del passato, del presente e, perché no, del futuro, cioè la percezione inconscia di “quello che ci accadrà”, delle nostre aspettative.
Il tempo è una dimensione della nostra quotidianità, del percorrere le diverse tappe della vita che fluisce inesorabilmente. Non possiamo né toccarlo, né vederlo, eppure ne abbiamo la percezione, che è però soggettiva, in quanto non è il tempo a passare a una diversa velocità, ma è l’uso che ne facciamo.

La percezione del tempo nelle varie età della vita
Quando si è giovani esso sembra scorrere più lentamente perché affrontiamo le esperienze per la prima volta ed esse lasciano una traccia dentro di noi. Si creano così i ricordi che conserveremo accuratamente per il resto della vita. Crescendo queste occasioni si riducono e, di conseguenza, abbiamo meno momenti indimenticabili da ricordare tali da marcare l’evolvere della nostra esistenza.

Pensate a come cambia la percezione del tempo, se ci annoiamo o proviamo ansia. Esso ci appare interminabile, quasi fermo. Se invece stiamo bene in una determinata situazione, con una persona che ci affascina e con cui condividiamo ogni cosa sul momento, ecco che il tempo scorre alla velocità della luce. Eppure le lancette del nostro orologio girano scandendo i secondi, i minuti, le ore, senza alcun mutamento.

La consapevolezza del tempo soggettivo

Le neuroscienze hanno spiegato la “consapevolezza del tempo soggettivo” – o cronestesia – come conseguenza della connessione tra tempo e coscienza. In pratica l’individuo “viaggia mentalmente” nel suo tempo e la cronestesia è legata ad alcune funz

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ioni neurocognitive come il ricordo (che è una funzione della memoria), considerando il passato e il futuro, passando per il presente.

In Pnl esiste una tecnica, chiamata Time Line o Linea del Tempo, che agisce sulla rappresentazione del modo con cui memorizziamo i nostri ricordi del passato a livello inconscio e come proiettiamo quelle informazioni nel presente e anche nel futuro, condizionandolo.

Le sue applicazioni sono varie, dal superamento di traumi passati o ansie future, alla realizzazione degli obiettivi fornendo le risorse necessarie. Si ha così una trasformazione del passato che ci permette di liberarci da esperienze dolorose, traumi o convinzioni in grado di influenzare il presente, creando una nuova rappresentazione mentale di ciò che è stato

Quasi tutte le persone memorizzano il tempo in forma lineare, ma vi è anche chi lo fissa a spirale, a zigzag, ad anello, a V… Ciascuna organizzazione genererà un determinato effetto sull’individuo o sulla sua percezione del tempo.

Trasformare il tempo in immagini, suoni, sensazioni

Noi possiamo comprendere come vengono memorizzati i ricordi, osservando la gestualità o il modo di parlare.
Pensate a quante volte sentiamo dire o diciamo: “Lasciati il passato alle spalle”, o “Ho sempre il passato davanti a me”,  “Quando ti girerai e guarderai ciò che è passato, ti sembrerà tutto diverso”, o “Guarda come è roseo il futuro che è davanti a te”.

Questa capacità di trasformare la propria soggettività temporale in immagini, suoni, sensazioni e di descriverne la loro posizione nello spazio, ci permette di poter lavorare con la tecnica della PNL.
È opportuno sottolineare tuttavia che la PNL non si interessa alla realtà dei fatti, ma alla rappresentazione mentale che gli individui hanno dell’accaduto.

La Linea Temporale è un elemento fondamentale per comprendere come è strutturato lo spazio-tempo nell’individuo, ma è anche l’elemento principale della personalità. Essa è la rappresentazione statica con cui la persona vive lo scorrere del tempo come successione di ricordi.

Cosa accade quando si usa la Time Line?

Nel momento in cui si accede a un evento traumatico, viaggiando lungo la linea del tempo, si acquisiscono le caratteristiche del momento in cui si è vissuta realmente l’esperienza. A esse si uniscono anche quelle del presente, in cui si sta rivivendo la stessa esperienza. Ciò che determina la differenza è il rievocare il tutto con nuove risorse, come l’essere nel “qui e ora”.
Sulla Time Line si è in uno stato di trance, cioè uno stato alterato di coscienza, che permette di concentrarsi maggiormente su ciò che avviene al proprio interno.

Dal punto di vista neurologico, si ha l’attivazione della corteccia frontale, responsabile anche della memorizzazione verbale e visiva. Cosa significa tutto questo?
L’esperienza visiva immaginata si sovrappone a quella ricordata modificandola. Tale modifica determina anche un cambiamento dell’influenza che essa ha sulla vita della persona.

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Quali tipologie di Time Line
Ne esistono due tipi: In Time e Through Time e anche una combinazione tra le due.

Una persona Through Time (attraverso il tempo) ha gli avvenimenti disposti su una linea temporale immaginaria, posta davanti a sé, per cui ha percezione e consapevolezza della durata del tempo, e per questo è, in genere, precisa e puntuale. Alcune persone Through Time, si sentono perfino a disagio se non sono puntuali, perché danno molto valore alla tempestività. Hanno un ottimo controllo sugli eventi perché sono dissociate emotivamente.

Solitamente vedono il loro passato a sinistra e il futuro a destra o viceversa. Il presente è per lo più a metà di questa linea temporale, per cui hanno una maggiore facilità nel prendere decisioni e vedere le conseguenze. Conducono una vita piuttosto organizzata, ordinata, pianificata. Uno svantaggio e non sentirsi dentro gli eventi, o tutto al più viverli parzialmente.

Una persona In Time è attraversato dalla sua linea del tempo. Ha in genere il passato alle sue spalle e il futuro davanti a sé o viceversa. Quindi tende a non ricordare le esperienze troppo in là nel tempo o a fare delle progettualità molto a lungo termine.
Vive appieno i momenti belli o brutti: la gioia lo travolge, la frustrazione e la tristezza lo opprimono.

Proprio perché vive il tempo, quest’ultimo passa velocemente o molto lentamente, per cui tende a distrarsi con maggiore facilità e a volere più tempo per raggiungere un obiettivo, che spesso non riesce a realizzare.

Frasi tipiche sono “Come è stato possibile che la giornata sia già finita così in fretta?” o “Come è volato il tempo”. Ha difficoltà a superare le ansie che diventano opprimenti e il futuro spesso appare vago e lontano, questo perché è coinvolto dalle proprie emozioni. È in genere poco puntuale.
La Time Line, quindi, ci permette di comprendere il nostro modo di vedere il trascorrere della nostra vita, di esserne consapevoli e, se necessario, d’intervenire per vivere meglio i ricordi e mettere le basi per costruire il futuro che desideriamo.

La scuola nell’epoca della pandemia

pubblicato in Tuttoscuola, febbraio 2021

La pandemia da Covid-19 e la conseguente sospensione delle attività didattiche in presenza nelle scuole, hanno imposto un improvviso cambiamento negli stili di vita degli studenti e non solo, in quanto si sono dovute abbandonare le abitudini di studio e limitare la socialità e la condivisione alla dimensione virtuale. Questi ultimi aspetti sono, in genere, molto importanti nella crescita di un individuo. Potremmo dire che si è avuto un contagio emotivo che ha colpito, durante la fase del lockdown, molti bambini e adolescenti. Vediamo meglio come essi hanno affrontato il periodo di deprivazione sociale dal punto di vista psicologico, condizione che i docenti devono tener presente in quanto può incidere sul rendimento scolastico.

Per quanto riguarda i bambini, essi normalmente presentano un adattamento ai vari cambiamenti del contesto. Nel periodo di quarantena essi hanno dovuto cambiare la loro routine di vita, affrontare convivenze non sempre tranquille, oltre a possibili traumi conseguenziali al contagio o alla morte di cari da Covid. Paura, irritabilità, ansia e rabbia, sono emozioni che possono aver creato uno stato di disagio, condizione che può non sorgere se si mantiene una certa quotidianità e routine, e se vengono fornite, dagli adulti di riferimento, spiegazioni chiare e adeguate all’età, oltre a rassicurazioni circa i propri cari. In questa condizione di disagio e cambiamento, fondamentale è la condivisione e l’accoglienza delle emozioni. Ma come sempre ci sono bambini più fragili che possono manifestare una certa regressione, o richiedere maggiori attenzioni e affetto, o presentare stati di ansia. Con il prolungarsi della pandemia e delle restrizioni, i più piccoli, supportati adeguatamente nei loro bisogni relazionali dagli adulti e da un ritorno a scuola, anche se con modalità diverse rispetto a prima, sono riusciti a ritrovare una certa normalità. Il problema maggiore viene vissuto dagli adolescenti che creano rapporti più complessi con i loro coetanei, per cui la deprivazione sociale può presentare effetti psicologici più a lungo termine. Dobbiamo tener presente che durante l’adolescenza avvengono cambiamenti biologici e ormonali, e lo sviluppo sociale risulta essere fondamentale in questa fase dipendendo parzialmente dalla maturazione di quelle aree cerebrali coinvolte nella percezione e cognizione sociale. Quindi un isolamento sociale potrebbe influire, secondo numerosi studi, sullo sviluppo comportamentale e cerebrale. Senz’altro l’uso dei cellulari, Ipad, e dei social, può aiutare a ridurre la mancanza di un rapporto diretto, perché si resta connessi anche se in modo virtuale. L’importante è che il rapporto con i social sia attivo e non passivo, nel senso che scrivere post, lasciare messaggi, commentare è un modo di mantenere le relazioni e migliorare il proprio benessere psicologico, al contrario dello scorrere dei post che può incrementare uno stato di malessere creando stati emotivi d’invidia e competizione.

Le restrizioni pandemiche, quindi, creano un sovraccarico emotivo che in alcuni si manifesta con crisi di pianto, stati di ansia e di tristezza, insonnia, difficoltà a concentrarsi con una riduzione nel rendimento scolastico. Si ha, di conseguenza, la produzione del cortisolo, l’ormone dello stress, per cui diventano irritabili e reattivi, alcune volte in modo esagerato. Questo può spiegare in parte le varie risse che avvengono negli ultimi tempi tra gruppi numerosi di adolescenti. Esse potrebbero essere l’espressione di un messaggio sociale di presa di posizione di fronte alle restrizioni imposte e ritenute alcune volte ingiuste.

Tali comportamenti rissosi all’insegna della forza e prevaricazione, possono essere l’espressione, quindi, di una forma di difesa nei confronti di un senso di impotenza, frustrazione, angoscia per un futuro sbiadito e un presente incerto.

Il ritorno sui banchi di scuola, dopo un lungo periodo di DaD, comporta un cambiamento nel rapporto docente-discente. I docenti quindi si possono trovare di fronte ad adolescenti che presentano comportamenti diversi rispetto a prima a causa del disagio vissuto e che continuano a vivere.

La presenza della mascherina, inoltre, influisce nel rapporto e nella comunicazione con i ragazzi, in quanto determina un distacco e un’alterazione nella relazione perché viene a mancare tutta quella parte non verbale, a cui si presta sempre poca attenzione, ma che è alla base di una comunicazione empatica. Andrà quindi potenziato sia il linguaggio che la gestualità. Bisogna andare oltre la didattica per accogliere e supportare i ragazzi demotivati, confusi, deconcentrati, senza dimenticarci che anche i docenti hanno vissuto disagi psicologici e impreparati a gestire l’isolamento coatto per cui può aumentare lo stato di stress. I docenti hanno quindi bisogno di avere degli strumenti che permettano loro di sapere come affrontare i loro studenti nel momento in cui si ritornerà alle lezioni in presenza. In questo scenario è quindi opportuno attivare un percorso formativo che preveda non solo lezioni teoriche ma anche un laboratorio che insegni loro strategie su come rapportarsi di fronte a situazioni e a comportamenti destabilizzanti, come accogliere le emozioni e incanalarle positivamente, come comunicare in modo efficace in modo che i ragazzi possano ritrovare se stessi.

Riflessioni che vorrei condividere...

Cari amici,

in questo momento della nostra vita alquanto critico per tantissimi eventi e in particolare per la presenza del Coronavirus D 19 che ci tocca da vicino, penso che sia opportuno imparare a gestire la paura e l’angoscia che si possono vivere in questi momenti e che porta spesso a reazioni insolite e che possono incrementare il nostro stato di disagio e di temuto pericolo. L’aspetto emotivo, cognitivo e psicologico, in queste situazioni prende il sopravvento, in particolare con l’affastellarsi di notizie che si susseguono incessantemente, creando un alone di incombente e irrisolvibile pericolo.

Non possiamo controllare il virus, tranne che con accorgimenti che tutti ormai conosciamo, ma possiamo controllare le nostre reazioni. Avere paura è normale, quello che occorre fare è evitare il panico che crea danni peggiori aumentando lo stato di insicurezza e di pericolo. L’essere continuamente connessi per vedere come vanno le cose ci allontana da noi stessi, dalla nostra identità creando in noi uno stato di allarmismo che risulta controproducente per noi stessi. Infatti come conseguenza cancelliamo informazioni positive, come il numero delle persone guarite e ci focalizziamo solo ed esclusivamente sul numero di persone decedute e contagiate, sui possibili untori e guardandoci in cagnesco l’un l’altro. Ogni anno muoiono migliaia e migliaia di persone d’influenza ma ormai questo fa parte del nostro modo di vivere, perché la conosciamo, anche se ci possono essere nuovi ceppi. Il nuovo spaventa, è vero, ma abbiamo sempre trovato una soluzione.

Importante è essere consapevoli, ma anche per quanto è possibile continuare la nostra routine rispettando le indicazioni di sicurezza vigenti. Attività fisica e passeggiate all’aria aperta fanno benissimo, ci fanno sentire di essere nella normalità oltre a scaricare la tensione proprio perché si “fa” qualcosa. Uno stato psicologico positivo è collegato a uno stato immunitario migliore. Sappiamo tutti che lo stress, particolarmente se di lunga durata, deprime il sistema immunitario. Quindi aiutiamoci anche noi focalizzandoci su qualcosa di positivo e diamo più valore a ciò che abbiamo un po’ trascurato come la famiglia, l’amicizia, il rispetto e soprattutto l’amore.

Forse nulla avviene per caso

Terry Bruno